Ho da poco avuto modo di leggere la bella antologia del premio Anna Osti, in cui una mia silloge inedita ha ricevuto il secondo premio. Il libretto dell’antologia contiene, oltre a una poesia o racconto da ogni partecipante premiato, note critiche abbastanza articolate e generalmente molto calzanti. Mi fa piacere condividere con voi la bella e penetrante nota di Giusi Montali alla mia silloge inedita. Giusi mi sembra colga molto dei risvolti più intimi della mia scrittura, e di questo la ringrazio sinceramente.
I cinque testi della silloge di Davide Castiglione sono accomunati da una scrittura franta, che procede per lacerti: il pensiero nella sua completezza è infatti interrotto da ricordi che si sovrappongono, da constatazioni che si assommano. L’organicità desiderata, il “parlare per frasi che sono tuttora e tuttora e tuttora splendidamente intere” (In fase REM, v. 17), resta delegata a una condizione onirica durante la quale il soggetto continua a essere parcellizzato ma, contrariamente alla veglia, il frazionamento non impedisce l’interezza del discorso (“pressoché slogati ma riuscivamo / a parlare”, Id., vv. 15-16). La disposizione grafica intende mimare questo affastellarsi del pensiero e consegna al lettore una poesia sussultoria che si vorrebbe dare per definitiva ma “fatto sta che – / ma il fatto non sta / evapora” (Alla fine, vv. 38-39). La visione non può essere d’insieme per l’intervento degli enjambements o per un’insolita interruzione sancita dalla punteggiatura e dalla fine del verso (“visione di, / insieme”, In fase REM, vv. 5-6), per una disposizione grafica che isola parole, frammenti di versi o intere strofe, oppure per l’uso del corsivo che introduce una voce altra e una diversa localizzazione temporale e spaziale (“fuori dal vetro / del vagone dove è seduto lui, passante / direzione Gallarate”, Privato di., vv. 6-8). Il discorso che si effettua durante la veglia si rivela orbato, mancante (“il nostro / parlare privato di”, Id., vv. 23-25) e rivela continuamente la dislocazione del soggetto, lontano per scelta dal luogo di origini, ma che subisce gli effetti della ‘delocalizzazione’: instabilità fisica, emotiva e memoriale, e le interferenze che ne derivano: “e si ha non avendo più tanto / a che fare con la nebbia questa / di quelle parti da / sarebbero le mie / mentre ci respiro e altro / prima o dopo o fino a mai / come da queste parti si / usa dire” (Alla fine, vv. 7-15).
Giusi Montali